L’articolo 5 del D.L. N. 23/2020, procedendo alla modifica del comma 1, dell’art. 389 del decreto legislativo 12 gennaio 2019, n. 14, recante Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza, prevede che tale decreto entri in vigore il 1° settembre 2021, “salvo quanto previsto al comma 2”.
Il Codice sarebbe dovuto entrare in vigore il 15 agosto 2020, nel pieno dell’emergenza economica derivante dalla diffusione del Covid-19.
Il decreto-legge 2 marzo 2020, n. 9 aveva già differito al 15 febbraio 2021 l’entrata in vigore delle misure di allerta previste dal Codice stesso, per evitare che un eccessivo numero di imprese ricadesse nell’ambito di applicazione di tali misure.
L’articolo 5 del decreto-legge n. 23/2019 riallinea i termini di entrata in vigore delle misure di allerta e del Codice della crisi, rinviando l’applicazione di tutte le nuove disposizioni al 1° settembre 2021.
In un quadro macroeconomico devastante derivante dall’epidemia di Covid-19, l’opportunità di disporre il rinvio integrale dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 14 del 2019, recante il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza – come si legge nella relazione illustrativa – appare evidenziata da una nutrita serie di considerazioni.
La prima si riferisce a quella che costituisce la novità più rilevante del Codice, e cioè il sistema delle c.d. “misure di allerta”, volte a provocare l’emersione anticipata della crisi delle imprese.
Il sistema dell’allerta, infatti, è stato concepito nell’ottica di un quadro economico stabile e caratterizzato da oscillazioni fisiologiche, all’interno del quale, quindi, la preponderanza delle imprese non sia colpita dalla crisi, e nel quale sia possibile conseguentemente concentrare gli strumenti predisposti dal codice sulle imprese che presentino criticità.
In una situazione in cui l’intero tessuto economico mondiale risulta colpito da una gravissima forma di crisi, invece, gli indicatori non potrebbero svolgere alcun concreto ruolo selettivo, finendo di fatto per mancare quello che è il proprio obiettivo ed anzi generando effetti potenzialmente sfavorevoli.
La seconda si riferisce a quella che la filosofia di fondo del Codice e cioè quella di operare nell’ottica di un quanto più ampio possibile salvataggio delle imprese e della loro continuità, adottando lo strumento liquidatorio (quello che ancora oggi è definito fallimento) come extrema ratio, cui ricorrere in assenza di concrete alternative. Risulta tuttavia evidente che in un ambito economico in cui potrebbe maturare una crisi degli investimenti e, in generale, delle risorse necessarie per procedere a ristrutturazioni delle imprese, il Codice finirebbe per mancare incolpevolmente il proprio traguardo.
La terza si collega alla scarsa compatibilità tra uno strumento giuridico nuovo ed una situazione di sofferenza economica nella quale gli operatori più che mai hanno necessità di percepire una stabilità a livello normativo, e di non soffrire le incertezze collegate ad una disciplina in molti punti inedita e necessitante di un approccio innovativo. Risulta, quindi, opportuno che l’attuale momento di incertezza economica venga affrontato con uno strumento comunque largamente sperimentato come la Legge Fallimentare, in modo da rassicurare tutti gli operatori circa la possibilità di ricorrere a strumenti e categorie su cui è maturata una consuetudine.
La data di entrata in vigore è stata quindi di fatto spostata di un anno. Nel contempo tutti gli operatori avranno a disposizione un anno di tempo in più per procedere all’approfondimento degli aspetti più innovativi del Codice, come eventualmente modificato dal Decreto Correttivo attualmente in fase finale di predisposizione.
Da ultimo – come si sottolinea nella relazione – il differimento consentirà di allineare il Codice della crisi d’impresa e dell’insolvenza alla emananda normativa di attuazione della Direttiva UE 1023/2019 in materia di ristrutturazione preventiva delle imprese.