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Quando è ora di brindare durante una fusione?

Data di pubblicazione: 23 Ottobre 2020

C’è chi cerca competitività nelle economie di scala, chi cerca di offrire un servizio più a 365 gradi, chi cerca un rebranding del proprio studio: tanti titolari di stanno pensando di fondersi con altre strutture per rispondere ai cambiamenti di mercato.

Ed è per questo che stiamo notando sempre più realtà professionali approfondire questa opportunità. Perché di opportunità si tratta, ci avete visto bene, ma come ogni opportunità che si rispetti, per arrivare all’obiettivo, è necessario superare una costellazione di sfide e rendersi conto che non è per nulla automatico riuscire a completare con soddisfazione questa evoluzione.

Difficoltà inattese, dolorosi prolungamenti nei tempi, mancanza di un piano, portano spesso all’aborto dell’iniziativa o ad una altrettanto insoddisfacente situazione di fusione avvenuta solo sulla carta, ma mai nella sostanza della gestione. Se questo scenario vi spaventa, ho fatto bene il mio lavoro: uomo (o donna) avvisato, mezzo salvato.

Detto questo, le fusioni efficaci esistono: come hanno fatto?

In particolare, oggi ci focalizziamo su 3 punti:

  • Fondere due studi “simili” è più semplice che fondere due realtà molto diverse;
  • Avere un piano d’azione con referenti e tappe intermedie garantisce una maggiore aderenza alle tempistiche auspicate;
  • I soci devono condividere gli obiettivi, le politiche di gestione interna e dei clienti e in generale trovarsi d’accordo o comunque essere chiari su più cose possibili. Per riprendere un altro proverbio: patti chiari, amicizia lunga.

Il primo punto critico è conoscersi davvero per “presentarsi” agli altri e condividere prima come far convergere le modalità decisionali, gestionali e operative delle strutture candidate alla fusione.

Oggi la maggior parte degli studi non è dotata di un sistema di controllo di gestione e di rilevazione delle attività efficace. Questo rappresenta un problema in generale, perché impedisce di capire cosa si può migliorare, ma in una fusione rappresenta una vera e propria bomba ad orologeria.

Infatti, non conoscersi significa non sapere quanto realmente ogni struttura vale e quindi cosa si sta mettendo reciprocamente sul piatto. In un’operazione così delicata è necessario andare ben oltre i dati di fatturato e di costo. Per esempio, è necessario addentrarsi analiticamente nei carichi di lavoro del personale e nelle tariffe che vengono applicate ai clienti. Perché tariffe?

Perché 1000 euro su un cliente da 10 ore sono 100€ all’ora, su un cliente gestito in 50 ore sono solo 20€/h. Il fatturato per cliente è fuorviante se non adeguatamente rapportato ai costi sostenuti (ore richieste). E queste ore richieste variano in modo importante da cliente a cliente all’interno di ogni studio e, naturalmente, tra una struttura e l’altra. Non date per scontato che gli altri siano d’accordo con la vostra modalità di gestione, bisogna poterla dimostrare, condividere e capire se va bene ad entrambi o se va cambiata. In questo caso, vi va bene cambiare il vostro rapporto con i clienti? Ciò che mi interessa farvi capire è che per passare da una situazione di “deus ex machina”, decisore unico, ad una di co-proprietà saranno necessari diversi compromessi. Il mio consiglio è di affrontare queste dinamiche prima della fusione, con determinazione e con lungimiranza. È anche un ottimo modo per vedere nel concreto come ragiona e opera il futuro socio.

Si spera sempre di fare di 1+1 = 3, è molto più facile fare di 1+1=1,5, sommando le inefficienze e non comprendendo sufficientemente bene quali spazi ci sono per migliorare.

È inoltre essenziale programmare la convergenza delle modalità operative e gestionali verso una unica e condivisa, pena il rimanere studi fattivamente distinti e solo formalmente uniti. Questo non sarebbe un esito auspicabile poiché aggiungerebbe solamente alla complessità e renderebbe difficile sostanziare i benefici di questa evoluzione. E qui ci scontriamo con la famigerata resistenza al cambiamento. Per affrontarla in modo efficace, nulla può supportarvi bene quanto un sistema di pianificazione e controllo condiviso capace di far rendere conto a voi e alle vostre strutture cosa va e cosa non va. Qualcuno sarà più bravo su una cosa e qualcuno su un’altra. Se queste differenze risulteranno evidenti con il sistema di monitoraggio, tutti si renderanno conto dei passi da fare e la curiosità su “come fa l’altro” supererà la resistenza al nuovo.

Ovviamente questo processo è avviabile prima della fusione vera e propria, cosa che offre una tutela molto maggiore a tutte le parti coinvolte.

Insomma, considerate la fusione un matrimonio professionale. Ci son due strade nel momento in cui vogliamo finalizzare un’unione: possiamo o sposarci e mettere a posto le cose dopo, o possiamo mettere a posto le cose prima e poi sposarci… E perché è importante? Perché vi permette di giocare d’anticipo su tutta una serie di questioni che potrebbero risultare bloccanti. Condividere una modalità di gestione, e applicarla poi sulle due strutture separate, significa iniziare a parlare la stessa lingua, avere la stessa impostazione gestionale, avere persone che seguono le stesse logiche di gestione del cliente e del lavoro.

Alla stessa stregua, per evitare arrabbiature dopo, è importante avere degli obiettivi comuni. Ovvio? No.

Spesso assisto a decisioni “troppo emotive”, che non hanno tenuto conto delle complessità a cui si stava andava incontro. Superata l’adrenalina del primo momento, bisogna continuare a remare insieme verso un obiettivo. Di conseguenza, è importantissimo condividere dove si vuole andare!

Magari c’è uno che desidera crescere, anche con una strategia commerciale aggressiva, mentre l’altro punta a mantenere lo status quo. Magari uno è molto sensibile ai temi di pianificazione e controllo di gestione, mentre l’altro preferisce mantenere modalità di gestione più tradizionali. Magari uno vuole gestire parte dei suoi clienti con tariffe di favore, mentre un altro vuole assicurare una redditività minima da ognuno dei suoi assistiti. Sono tutti disallineamenti possibili, che creano frizione, ma sono anche superabili: con un obiettivo comune. Citando Nietzsche “He who has a why can bear any how” ovvero, parafrasata, “chi ha un obiettivo può sopportare qualunque fatica”. Ritengo lo stesso valga per 2 o più persone che lavorano verso la stessa meta.

Condivisione quindi, ma vorrei spingermi anche oltre il livello del quadro dirigenziale. Condividete con il personale il progetto di fusione, le ambizioni che racchiude, i cambiamenti che comporta, chiamatelo ad essere parte attiva del vostro disegno. Vedrete che le vostre strutture, quando adeguatamente coinvolte, non oppongono resistenza, ma supportano e giocano di squadra.

Infine, ci scontriamo con il nemico numero uno, quello che certamente vi troverete ad affrontare, quindi armatevi per non arrivare impreparati: vi mancherà il tempo.

Le questioni quotidiane, l’ordinario, gli impegni con i clienti, creeranno tanta distrazione.

Sceglietevi un referente di progetto, sennò il rischio è impelagarsi in tempi biblici. Una vera e propria guerra di logoramento per la vostra pazienza e per l’energia della struttura. Il referente può essere interno o esterno, ma suggerisco entrambi. Infatti, l’interno deve essere il punto di riferimento quotidiano, mentre l’esterno serve da mediatore, sia tra i soci che con la struttura.

Il referente ha il compito di sgravarvi della parte più operativa del lavoro di fusione: si occupa di battere il chiodo, e assicurare che le cose vengano fatte nei tempi stabiliti. Vi serve un project manager coi contro fiocchi.

Interpretare il processo di fusione per la sua reale complessità, che va ben oltre il mettersi d’accordo sul prezzo o sui valori delle strutture, vi permetterà di ponderare realmente la scelta. Fate chiarezza tra voi potenziali futuri soci: ogni ora che riuscirete a passare insieme a parlare di cose concrete servirà a darvi confidenza circa la opportunità di fare il salto. Oppure, vi farà cambiare idea, cosa altrettanto positiva dal mio punto di vista, perché vi evita un errore. È un passo importante e bisogna pensarci bene, non tutti sono compatibili e non tutte le opportunità si confermeranno tali. Ed è anche utile avere un supporto esterno che sa cosa sta facendo, vi risparmierà decine di migliaia di euro dopo.

Se si decide di partire, decisione, determinazione e perseveranza. Si pianifica cosa si vuole fare, si imbastisce un processo di “avvicinamento gestionale” e si nominano uno o più referenti per tenere le fila del progetto.

Si spiega la Vision alla struttura e si pedala tutti insieme.

Se saprete essere efficaci in tutti questi passaggi (efficaci, non perfetti…) sarete soddisfatti della scelta, e a questo punto non resta che brindare. E mi raccomando, una bottiglia buona.

Autore: Dott. Lorenzo Losi

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