Quando parlo con gli addetti ai lavori del controllo di gestione come strumento di direzione aziendale, sovente concludiamo che in Italia manca la cultura del dato. Certo, non voglio generalizzare, né in alcun modo dare l’impressione che sia una realtà solo italiana. Tuttavia, il riscontro empirico lo si ha con una certa regolarità. E vi posso dire che l’assenza di “cultura del dato” fa male al nostro tessuto economico e produttivo. Fa male all’Italia e alla nostra competitività internazionale.
Affinché un’azienda possa creare valore deve prendere coscienza di ciò che sta facendo e imparare dai risultati che ottiene, o magari non ottiene a sufficienza. Difatti, tali risultati sono il frutto di un processo di trasformazione di risorse, che vengono “lavorate” e rese “prodotti o servizi” che il mercato ritiene abbastanza utili da volere e di conseguenza comprare.
Il controllo di gestione permette di prendere consapevolezza di come funzionano i processi produttivi in azienda: più nello specifico, permette di capire cosa stia aggiungendo o sottraendo valore all’impresa e cosa possa essere ritoccato per modificare i risultati. Senza una adeguata attenzione al come si fanno le cose, è consueto muoversi per abitudine e prendere decisioni sulla base di impressioni e sensazioni: ma non è affatto detto che le proprie percezioni, per quanto allenate dall’esperienza, siano sufficienti.
Da qui la necessità di un sistema di pianificazione e controllo con cui tenere costantemente monitorato il quadro della situazione e poter agire tempestivamente. Una necessità che non è esclusiva delle “grandi aziende”.
Vi faccio un esempio concreto, che credo potrebbe mostrarvi sotto nuova luce cosa potete fare per i clienti.
Poche settimane fa sono andato in valle d’Aosta a fare Rafting. Splendida esperienza, persone piacevolissime e 50€ per circa 2 ore di divertimento con attrezzatura e istruttori. Un prezzo alquanto allettante e, come ci ha spiegato il proprietario, un prezzo di mercato, anche perché non sono gli unici su quel tratto della Dora Baltea.
Durante la nostra avventura, un addetto ci seguiva dal bordo del fiume e sbucava ad ogni ponte per scattare foto. Noi, un team di appassionati di gestione aziendale, già stavamo preparandoci psicologicamente per l’Up-selling delle diapositive, stimando tra i 20€ e i 40€ per il pacchetto di fotografie. Le avremmo comprate.
Tuttavia, con nostra grande sorpresa, arrivati al bar e ordinato un giro di birre, il proprietario è venuto a fare un briefing finale, e a comunicarci che le foto erano in omaggio! Ovviamente questo gli ha meritato un’ottima recensione su trip advisor, ma probabilmente la avremmo lasciata lo stesso se, come hanno fatto, ce lo avessero ricordato.
A quel punto, per ringraziare, abbiamo parlato un attimo di quello che è successo. Gli ho chiesto come mai non facessero pagare le foto, perché secondo me sarebbe stato meglio farlo.
Il proprietario ci ha spiegato che lui non lo sta facendo per i soldi, è una passione… Una storia che ho sentito dire troppe volte e che sinceramente mal digerisco. La passione rimane anche se l’azienda guadagna, anzi… Se la tua impresa guadagnasse di più e veramente gli utili ulteriori non vuoi portarli a casa, potresti reinvestirli in nuovi gommoni e nuova attrezzatura per i clienti, oppure potresti alzare gli stipendi al bravissimo staff, che come te per passione sta lavorando sodo, ma che sicuramente non sarebbe scontento di guadagnare qualcosina di più. Potresti investire sulla struttura e renderla più moderna e accogliente… Potresti anche andare in giro per il mondo a vedere come il rafting viene praticato dall’altra parte del pianeta.
Insomma, senza dilungarmi, non vedo perché dovresti rinunciare a creare valore in più sapendo che questo non “peggiora” realmente l’esperienza del cliente.
Poi ovviamente ci ha detto che 20-40 euro di foto non fanno la differenza, e qui mi sono un attimo agitato.
Ho fatto 2 domande:
- Quanto spesso tornano i clienti? Come immaginavo, tanti vanno una volta sola nell’arco di anni.
Premesso che con un sistema di ricontatto si vedrebbero risultati molto maggiori, voglio argomentare che questi “returning customers” non sarebbero dissuasi dal prezzo delle foto… La seconda volta al massimo non le chiedono, in quanto le hanno già.
- Quanti clienti avete avuto da quando avete aperto? Mi è stato risposto 220.000 persone.
Bene, è così che 20€ medi diventano potenzialmente 4.400.000€ di valore lasciato andare. Oppure, in un’altra ottica: se il gommone costa 50€ a testa, riuscire a portare il valore medio del cliente a 75€ (con le consumazioni al bar e le foto) sarebbe equivalente a materializzare un “gommone immaginario, pieno e con tanto di staff” per ogni 2 gommoni che metti nel fiume – che oggi generano 800€ in due ma potrebbero generarne 1200€ con questa modifica nel modello. Per quanto mi riguarda, una tale perdita di valore è inaccettabile ed irrazionale. Ed in effetti, quando gli ho proposto questa chiave di lettura il proprietario ha sgranato gli occhi…
Questo si chiama saper gestire l’azienda e saper materializzare valore senza alzare i costi. Quei 400€ in più ogni 2 gommoni equivalgono ad essere un’azienda completamente diversa. Un’azienda in salute che anche se si deve fermare per 2 mesi di lockdown non è rovinata, perché i margini accumulati le consentono di ammortizzare quello che per tutti è un duro colpo, ma non deve necessariamente essere una ghigliottina.
Vi ho portato questo esempio, ma è solo uno di tanti ragionamenti che potreste e dovreste fare con i vostri clienti. Perché se il vostro cliente impara a guadagnare grazie a voi il vostro onorario non sarà più un problema. Perché se tanti dei vostri clienti ottengono risultati il vostro studio rifiorisce.
C’è un altro aspetto, un po’ più “poetico” ma in cui credo molto. Il potenziale inespresso di tante aziende che oggi semplicemente sopravvivono potrebbe rappresentare un importante volano economico per il resto del Paese. Infatti, si parla spesso di circoli viziosi, ma esistono anche i circoli virtuosi. L’utile di tante aziende che vanno bene si accumula e determina sorti completamente diverse per l’ecosistema che le ospita. In fin dei conti, i risultati del nostro Paese non sono altro che i risultati aggregati di ogni azienda. È per questo che l’Italia non potrà mai stare veramente bene fintanto che non diamo un deciso e diffuso giro di vite alla competitività di ognuna delle nostre imprese.