Sull’argomento è stato pubblicato sul sito di Ateneoweb un articolo il 15 maggio 2017 a firma Valter Franco e non è che, da allora, le modalità per l’installazione di un impianto di videosorveglianza siano cambiate.
Secondo quanto già pubblicato l’impianto di videosorveglianza si pone in contrasto con le previsioni dell’articolo 4 della Legge 20 maggio 1970 n. 300 (c.d. Statuto dei Lavoratori) in quanto può (si sottolinea può) consentire il controllo a distanza dei lavoratori; occorre quindi, prima dell’installazione dell’impianto, l’assenso delle rappresentanze sindacali e, in assenza di queste, il benestare dell’Ispettorato del Lavoro.
Nel citato articolo veniva indicata la sentenza della Cassazione Penale sezione terza del 7 aprile 2016 n. 45198 con la quale erano stati condannati due gestori di un night club per aver installato un sistema di videosorveglianza del quale, peraltro, non era stata accertata la funzionalità (ma il reato è di pericolo – si veda il paragrafo 4.2 della sentenza 32551) e con funzione difensiva, prossima alla cassa e finalizzata a prevenire comportamenti illeciti dei dipendenti.
Di recente la stessa sezione terza della Corte di Cassazione ha pronunciato la sentenza n. 3255 anno 2021 (data udienza 14.12.2020) nella quale ha esaminato il caso di un esercizio commerciale che ha installato un sistema di videosorveglianza composto da due telecamere (una puntata sulla cassa ed una puntata sugli scaffali), senza aver richiesto l’accordo con le rappresentanze sindacali o il benestare dell’Ispettorato del Lavoro, sostenendo l’esercente che tale impianto è stato installato in funzione di tutelare il patrimonio aziendale.
Il Collegio esclude la configurabilità del reato di cui all’art. 4 dello Statuto dei Lavoratori quando l’impianto di videosorveglianza, seppure installato nei luoghi di lavoro e senza il preventivo accordo con le rappresentanze sindacali o il benestare dell’Ispettorato del Lavoro, sia funzionale alla tutela del patrimonio aziendale messo a rischio da possibili comportamenti infedeli dei dipendenti, le norme dello Statuto dei Lavoratori non proibiscono i c.d. “controlli difensivi” del patrimonio aziendale da azioni delittuose da chiunque provenienti, così da prescindere dalla mera sorveglianza sull’esecuzione della prestazione lavorativa.
L’l’utilizzo dell’impianto non deve comportare un significativo controllo sullo svolgimento dell’attività lavorativa del personale, o debba restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite; la previsione normativa non sembra riferibile ad impianti che possano controllare in via del tutto occasionale l’attività del singolo dipendente, come potrebbe verificarsi nel caso di telecamere puntate sulla cassaforte o sugli scaffali.
Il Tribunale aveva invece affermato la responsabilità penale dell’esercente, senza tener conto né valutare le dichiarazioni della moglie di quest’ultimo2, senza quindi considerare se l’impianto fosse strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale né se l’utilizzo dello stesso potesse comportare un controllo non occasionale sull’ordinario svolgimento dell’attività lavorativa dei dipendenti e ancora se dovesse restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illeciti di questi ultimi.
Il Collegio annulla la sentenza del Tribunale, al quale rinvia chiedendo venga accertato se l’installazione del sistema di videosorveglianza sia strettamente funzionale alla tutela del patrimonio aziendale ed in caso affermativo di accertare se l’utilizzo dell’impianto abbia comportato un controllo non occasionale sull’ordinario svolgimento dell’attività dei dipendenti ed ancora se debba restare necessariamente “riservato” per consentire l’accertamento di gravi condotte illecite da parte degli stessi dipendenti.
Note:
1. sezione III Corte di Cassazione sentenza n. 433 del 13 novembre 2013
2. l’installazione dell’impianto sarebbe avvenuta in seguito a rilievi di mancanze di merci, l’impianto era rivolto solo verso la cassa e le scaffalature