Il Codice Civile stabilisce chiaramente che i soci non possono ripartire somme che non rappresentano utili realmente conseguiti (art. 2303 c.c.). Questa disposizione, dettata specificamente per le S.N.C., si estende anche alle S.A.S. mediante il rinvio previsto dall’art. 2305 c.c.. Eventuali prelievi ad altro titolo devono essere documentati e regolarmente contabilizzati.
Con l’ordinanza N. 15919/2024 pubblicata il 6 giugno 2024 la Cassazione ha confermato la riqualificazione operata dall’amministrazione finanziaria di prelevamenti effettuati sul conto corrente di una Società in accomandita semplice (s.a.s.) in compensi di lavoro autonomo occasionale e la relativa tassazione in capo ai soci, non essendo tali prelevamenti giustificabili come finanziamenti fatti dalla società, in assenza di proventi contabilizzati a titolo e di una reale capacità reddituale dei soci di restituirli.
La Corte ha confermato la legittimità dell’operato dell’Agenzia Entrate, ma ha sottolineato che è fondamentale analizzare il caso concreto per determinare se tali somme debbano essere considerate un prestito della società ai soci o prelevamenti di natura reddituale. In particolare, fin quando le somme prelevate dai soci non eccedono gli utili conseguiti dalla società, tali prelevamenti sono considerati rappresentativi di utili. Quando invece le somme prelevate eccedono gli utili, l’eccedenza non può essere considerata utile e richiede un diverso inquadramento fiscale. Nella fattispecie esaminata dalla sentenza, la mancanza di corresponsione degli interessi e l’assenza di capacità reddituale dei soci per restituire le somme prelevate ha permesso di escludere che tali somme fossero un prestito.