Con l’ordinanza 26486 del 20.11.2020 la Corte di Cassazione ribadisce che è ampiamente consolidato nella giurisprudenza della Corte stessa il principio per cui, in tema di accertamento analitico-induttivo ex art. 39, comma 1, lett. d) del d.P.R. n. 600 del 1973, le percentuali di ricarico, accertate con riferimento ad un determinato anno fiscale, costituiscono validi elementi indiziari, da utilizzare secondo i criteri di razionalità e prudenza, per ricostruire i dati corrispondenti relativi ad anni precedenti o successivi, atteso che, in base all’esperienza, non si tratta di una variabile occasionale, per cui incombe sul contribuente, anche in virtù del principio di vicinanza della prova, qualora se ne voglia discostare, l’onere di dimostrare i mutamenti del mercato o della propria attività che possano giustificare in altri periodi l’applicazione di percentuali diverse (v. Cass. Sez. 5 -, Sentenza n. 27330 del 29/12/2016 Rv. 642387 — 01; Sez. 5, Sentenza n. 15038 del 02/07/2014 Rv. 631536 – 01).
Più in generale, peraltro, con riguardo alla determinazione del volume di affari del contribuente, una volta stabilita con esattezza per un determinato esercizio la percentuale di incidenza di una determinata materia prima sul totale degli acquisti, tale percentuale può essere utilizzata dall’Ufficio anche per la determinazione del volume d’affari relativo a diversi anni d’imposta, se la natura dell’attività imprenditoriale nel corso degli anni non sia cambiata (v. Cass. Sez. 5, Sentenza n. 1647 del 27/01/2010 Rv. 611199 – 01), ma pure dal giudice nel giudizio qualora sia in contestazione, come nel caso in esame, la percentuale di recupero applicata dall’Ufficio con l’accertamento.
Ciò posto, poiché, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, mentre, viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, per cui non può essere censurato sotto il profilo della violazione di legge il criterio seguito dall’Ufficio e poi della Commissione tributaria in sede di impugnazione, qualora correttamente motivato, come nel caso in esame in cui la CTR ha applicato un criterio ritenuto corretto quale quello della omogeneità degli elementi di imposta rispetto a quelli che avevano portato all’accertamento ormai definitivo della percentuale di ricarico del 22% per l’annualità pregressa.
Il ricorso dell’Agenzia delle Entrate viene quindi rigettato con condanna alle spese.
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