Con la sentenza n. 21809 del 09.10.2020, la Corte di Cassazione chiarisce cosa deve intendersi per interesse ad agire all’impugnazione.
Nella specie, era avvenuto che, con riferimento alla cessione di una attività di ristorazione, era stato emesso, nei confronti dei cedenti e dell’acquirente, un avviso di rettifica del valore del bene, con contestuale liquidazione di una maggiore imposta di registro. Il compratore aveva deciso, avvalendosi del procedimento di accertamento con adesione, di definire la controversia pagando un importo minore di quanto domandato con il menzionato avviso di rettifica. Gli attuali ricorrenti, però, successivamente al pagamento, avevano impugnato l’avviso di rettifica in questione, sostenendo di avere a ciò interesse, in quanto la quantificazione del valore della cessione ad opera dell’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto in seguito giustificare una ulteriore contestazione, quale plusvalenza non dichiarata, da parte della medesima Agenzia delle Entrate, con relativo accertamento IRPEF. In pratica, l’adesione ad una definizione del contenzioso decisa dal coobbligato solidale, non poteva tradursi in una privazione del diritto difesa di altro coobbligato che, comunque, non aveva a tale definizione aderito. Inoltre, la cessazione della materia del contendere non avrebbe mai potuto essere dichiarata, considerato che essi ricorrenti non avevano aderito alla richiesta di controparte sul punto e che, in ogni caso, il loro ricorso era stato proposto dopo il pagamento de quo.
In primo luogo, la Corte di Cassazione rileva che presupposto per l’instaurazione di un giudizio è l’esistenza di un interesse del ricorrente ad ottenere una data pronuncia. In particolare, in ambito tributario l’interesse de quo va definito alla luce della circostanza che il relativo processo si fonda sull’impugnazione di un atto e ha ad oggetto il rapporto sostanziale controverso (Cass., Sez. 5, n. 15472 del 13 giugno 2018), dovendosi accertare la legittimità della pretesa tributaria in quanto avanzata con l’atto impugnato ed alla stregua dei presupposti di fatto e di diritto in tale atto indicati (Cass., Sez. 5, n. 6620 del 19 marzo 2009).
Nella specie, secondo i ricorrenti, detto interesse sarebbe conseguito all’eventualità che la quantificazione del valore della cessione ad opera dell’Agenzia delle Entrate avrebbe potuto in seguito giustificare una ulteriore contestazione, quale plusvalenza non dichiarata, da parte della medesima Agenzia delle Entrate, con relativo accertamento IRPEF.
La Corte di Cassazione osserva che l’interesse ad impugnare deve sussistere al momento dell’instaurazione del giudizio, mentre nel caso in esame, per stessa ammissione dei ricorrenti, all’epoca in cui hanno adito la CTP nessun accertamento IRPEF era ancora stato notificato dall’Agenzia delle Entrate, era invece stato definito l’accertamento relativo alla maggiore imposta di registro.
La conseguenza è che l’interesse prospettato era meramente ipotetico e non idoneo a giustificare una impugnazione.
Per il testo integrale clicca qui.