Da una corretta lettura dell’art. 83, D.Lgs. 6 settembre 2011, n. 159 (Codice delle leggi antimafia) si evince che l’informativa antimafia assume rilievo solo nei rapporti tra una Pubblica amministrazione e il privato e non nei rapporti tra privati. Il comma 1, infatti, ha individuato i soggetti che devono acquisire la documentazione antimafia di cui all’art. 84 prima di stipulare, approvare o autorizzare i contratti e subcontratti relativi a lavori, servizi e forniture pubblici, ovvero prima di rilasciare o consentire i provvedimenti indicati nel precedente art. 67. Si tratta solo delle Pubbliche amministrazioni e gli enti pubblici, anche costituiti in stazioni uniche appaltanti, gli enti e le aziende vigilati dallo Stato o da altro ente pubblico e le società o imprese comunque controllate dallo Stato o da altro ente pubblico nonchè i concessionari di lavori o di servizi pubblici. A tali soggetti si aggiungono, in virtù del successivo comma 2, i contraenti generali previsti dal Codice die contratti pubblici.
Lo stabilisce il Consiglio di Stato, Sez. III, sentenza 20 gennaio 2020, n. 452.
E’ ben vero – si legge nella sentenza – che la stessa Sezione, in precedenti sentenze (2 settembre 2019, n. 6057; 2017, n. 565 e n. 1109) ha affermato che le informazioni antimafia si applicano anche ai provvedimenti autorizzatori e alle attività soggette a segnalazione certificata di inizio attività (SCIA).
L’art. 89, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011 prevede espressamente, alla lett. a), che l’autocertificazione, resa da parte dell’interessato, che nei propri confronti non sussistono le cause di divieto, di decadenza o di sospensione, di cui all’art. 67, riguarda anche “attività private, sottoposte a regime autorizzatorio, che possono essere intraprese su segnalazione certificata di inizio attività da parte del privato alla Pubblica amministrazione”.
La Sezione ha quindi ritenuto che, per lo stesso tenore letterale del dettato normativo e per espressa volontà del legislatore antimafia, le attività soggette a SCIA non sono esenti dai controlli antimafia, e che il Comune ben possa, e anzi debba, verificare che l’autocertificazione dell’interessato sia veridica e richiedere al Prefetto di emettere una comunicazione antimafia liberatoria o revocare la SCIA in presenza di una informazione antimafia comunque comunicatagli o acquisita dal Prefetto.
Si tratta però, pur sempre, di un potere di controllo o di un legame, prefigurato dalla legge, tra la Pubblica amministrazione e il privato.
Nel motivare le conclusioni alle quali è pervenuta, la Sezione ha affermato che “una visione moderna, dinamica e non formalistica del diritto amministrativo, quale effettivamente vive e si svolge nel tessuto economico e nell’evoluzione dell’ordinamento, individua un rapporto tra amministrato e amministrazione in ogni ipotesi in cui l’attività economica sia sottoposta ad attività provvedimentale, che essa sia di tipo concessorio o autorizzatorio o, addirittura soggetta a SCIA …”.
Il Legislatore ha quindi previsto il potere del Prefetto che interviene quando il privato entra in rapporto con l’Amministrazione. Ed è la legge a conferire un siffatto potere di verifica al Prefetto. Diverso è invece il caso di rapporti tra privati, in relazione ai quali la normativa antimafia nulla prevede.
Tale vuoto normativo – si legge ancora nella sentenza – non può certo essere colmato dal Protocollo della legalità e dal suo Atto aggiuntivo (entrambi stipulati tra il Ministero dell’interno e Confindustria, rispettivamente il 10 maggio 2010 e il 22 gennaio 2014), attraverso il quale il Ministero ha dichiarato la propria volontà di superare l’eliminazione (ad opera dell’art. 4, del D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218), nell’art. 87, comma 1, D.Lgs. n. 159 del 2001, della possibilità di richiedere informative antimafia da parte di soggetti privati.
Si tratta, infatti, di un atto stipulato tra due soggetti, che finirebbe per estendere ad un soggetto terzo, estraneo a tale rapporto, effetti inibitori che la legge ha espressamente voluto applicare ai soli casi in cui il privato in odore di mafia contragga con una parte pubblica.
Prova di tale voluntas legis è proprio nella modifica del comma 1 dell’art. 87, D.Lgs. n. 159 del 2011 che, prima della novella introdotta dall’art. 4, del D.Lgs. 15 novembre 2012, n. 218, prevedeva espressamente la possibilità che a chiedere la comunicazione antimafia fosse un soggetto privato.
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