Niente scossa per il mercato del lavoro italiano alla fine del 2021: il numero di occupati rimane pressoché invariato e trainato dai dipendenti a termine. Ne risentono le retribuzioni, cresciute circa un terzo del tasso di inflazione, con ovvie conseguenze sul potere d’acquisto.
Dicembre è stato un mese di calma per il mercato del lavoro italiano, con flussi limitati e variazioni contenute. A dicembre 2021 infatti sono diminuite le persone in cerca di lavoro, con 29mila disoccupati in meno. Durante il mese il numero di inattivi è cresciuto di sole 4mila unità. Un elemento positivo: la discesa della disoccupazione non è strettamente legata all’aumento degli inattivi e “scoraggiati”. Il numero degli occupati è rimasto pressoché stabile rispetto a novembre, con solo mille lavoratori in più. Vista la discrepanza nei flussi dei tre insiemi (disoccupati, occupati e inattivi) potrebbe aver giocato un ruolo chiave la demografia. Il tasso di occupazione è infatti tornato ai livelli pre-pandemici (al 59,0%) anche se mancano circa 286mila occupati tra dicembre 2021 e febbraio 2020: una statistica da non sottovalutare quando si analizza il quadro generale.
Analizzando i singoli flussi il quadro si fa più chiaro. Tra novembre e dicembre 2021 il numero di dipendenti è cresciuto di 52mila unità, con un aumento di 59mila dipendenti a termine e una riduzione di 7mila unità dei permanenti. Continua a divergere il trend delle tipologie contrattuali, visto che negli ultimi dodici mesi i dipendenti a termine sono aumentati di 434mila unità (un incremento del 16,4% nell’ultimo anno) mentre i permanenti di sole 157mila unità. Ancora una volta negativa invece la variazione degli indipendenti che a dicembre perdono 51mila unità. Quest’ultimo insieme torna nuovamente a presentare un bilancio negativo sui dodici mesi con 50mila unità in meno.
L’andamento del mercato del lavoro ha poi prodotto i propri effetti anche sulla dinamica delle retribuzioni: “Nella media del 2021 la marcata riduzione della quota di dipendenti in attesa di rinnovo non ha comportato una rilevante crescita delle retribuzioni contrattuali orarie, che si è fermata al +0,6%, in linea con quella del 2020”, registra Istat. “Alla luce della dinamica dei prezzi al consumo – in forte accelerazione nella seconda metà dell’anno e pari a circa tre volte quella retributiva – si registra anche una riduzione del potere d’acquisto. Nello specifico del quarto trimestre 2021, la crescita retributiva tendenziale ha superato di poco l’1,0% nei settori agricolo e industriale, si è fermata appena sopra lo 0,6% in quello dei servizi privati ed è stata nulla nel pubblico impiego”.
Le retribuzioni contrattuali orarie in media hanno quindi registrato un incremento dello 0,7% nell’arco di tutto il 2021. Una notizia negativa per il potere di acquisto, visto che in media il tasso di inflazione del 2021 si è attestato in media all’1,9%, un aumento pari a circa tre volte quello dei salari. Un altro elemento che potrebbe alimentare le pressioni ribassiste sui consumi già in atto all’inizio del 2022.