Posizione finanziaria netta sull’estero quasi in pareggio, surplus di 56,3 miliardi di euro nella bilancia dei pagamenti annuale e grande fame di Btp all’asta: i conti nazionali dell’Italia all’ingresso del tunnel Covid-19 si mostravano solidi (eccezion fatta per il solito debito pubblico). Alla vigilia dell’aggiornamento del rating di Standard & Poor’s nei confronti del nostro Paese (che al momento ci vede a Bbb, appena due step prima del livello “Junk”) diverse rilevazioni hanno permesso di apprezzare lo stato di salute dei conti italiani prima dell’inevitabile impatto della crisi Covid-19 destinata a far crollare il Pil del 5% nel primo trimestre e di circa il 10% nel secondo trimestre (stime Ufficio Parlamentare Bilancio).
Lunedì 20 aprile Banca d’Italia ha pubblicato la bilancia dei pagamenti aggiornata al mese di febbraio 2020. Nel rapporto viene confermata la solida posizione finanziaria internazionale dell’Italia. Nei dodici mesi antecedenti febbraio 2020 l’avanzo di conto corrente italiano è stato pari a 56,3 miliardi di euro, oltre il 3% del Pil, in salita rispetto ai 43,9 miliardi dei dodici mesi precedenti. Componente positiva principale resta quella mercantile, in surplus per 61,1 miliardi di euro. La componente servizi è risultata negativa solo per 1,9 miliardi, quella dei redditi secondari per 17 miliardi mentre il saldo dei redditi primari (in sostanza investimenti esteri) ha portato in dote 14 miliardi di euro. A fronte di questo flusso positivo la posizione patrimoniale netta sull’estero, lo stock, ha recuperato ulteriormente terreno: alla fine del 2019 l’Italia aveva una posizione debitoria per 29,7 miliardi di euro che, in uno scenario senza Covid, avrebbe mantenuto una traiettoria tendente al pareggio nel breve termine. In altre parole l’economia italiana, nell’attimo precedente al lockdown nazionale e mondiale, era poco dipendente da capitali esteri e volgarmente viaggiava “al di sotto delle proprie possibilità”.
Secondo le previsioni stilate dal Fondo Monetario internazionale il debito pubblico italiano potrebbe toccare quota 155% del Pil entro la fine del 2020. Un aumento del rapporto dovuto sia ad un crollo del denominatore (il Pil potrebbe contrarsi anche in doppia cifra a livello annuale) sia ad aumento del numeratore dettato dalle misure anticicliche per fronteggiare la crisi e un inevitabile ammanco di gettito. Nonostante ciò il database della politica fiscale del Fondo Monetario Internazionale riporta l’Italia come Paese leader al mondo negli ultimi venticinque anni per disciplina fiscale: in media i governi di Roma hanno fatto registrare un avanzo primario (non corretto per il ciclo economico) pari al 2,559% del Pil. Nessun altro Paese al mondo ha applicato un simile regime di austerità nell’intento di contenere l’aumento del debito pubblico. Il saldo primario rappresenta però la differenza tra le entrate e le uscite del governo centrale al netto degli oneri finanziari sul debito pubblico e sono proprio questi ultimi ad affossare il deficit complessivo. Tuttavia il 2019 ha comunque fatto registrare il dato più basso dal 2007 (deficit all’1,6% del Pil).
Osservando l’andamento dei rendimenti sui titoli di Stato italiani è possibile comunque affermare come sia l’alto onere finanziario a cui l’Italia è sottoposta a comandare, portando verso l’alto il differenziale con i paesi del centro-Europa, ritenuti più affidabili sotto l’aspetto fiscale. Nel suo secondo bollettino economico del 2020, Banca d’Italia ha sottolineato come la volatilità implicita nei contratti derivati sul titolo decennale italiano sia salita notevolmente: “Nelle giornate tra il 12 e il 18 marzo i mercati finanziari italiani ed europei, a seguito degli annunci di provvedimenti di contenimento dell’epidemia nella maggior parte dei paesi avanzati, sono stati caratterizzati da forti tensioni”. Sempre Banca d’Italia si intesta (a ragione) il merito, in concerto con la Banca Centrale Europea, di aver stabilizzato il mercato del debito sovrano attraverso i programmi di acquisto pregressi e recentemente attivati (Quantitative easing, rinnovo dei titoli a scadenza e Pepp): “I risoluti interventi dell’Eurosistema seguiti alle decisioni del Consiglio direttivo della BCE hanno interrotto la spirale negativa tra vendite e illiquidità che aveva fortemente amplificato la discesa dei prezzi delle attività finanziarie, incluse quelle prive di rischio”.
Nonostante la presenza di pressioni sul titolo decennale italiano le recenti aste si sono concluse in maniera più che positiva. Il Ministero dell’Economia e delle Finanze è riuscito a piazzare nella giornata di martedì 21 aprile 10 miliardi di euro di Btp a 5 anni (con rendimento 1,85%) e 5 miliardi di euro di Btp a 30 anni (con rendimento lordo 3,129%). La domanda è stata rispettivamente di 55 e 45 miliardi, segno che il mercato prova ancora un forte appetito per l’obbligazionario pubblico italiano (anche grazie ai lauti rendimenti concessi, con lo spread del trentennale superiore ai 300 punti base rispetto all’omologo tedesco).
Per quanto concerne la stabilità del debito italiano sarà determinante l’esito del Consiglio Europeo (e delle trattative per le iniziative contro la crisi da Covid-19), il responso delle agenzie di rating (con annessa disponibilità della Bce ad acquistare titoli anche sub-investment grade) e il verdetto della Corte Costituzionale tedesca di Karlsruhe del 5 maggio (che potrebbe limitare fortemente i benefici del Quantitative Easing nei Paesi sovra indebitati con immediate conseguenze sui rendimenti dei Btp italiani e sulla capacità di rifinanziamento sul mercato del Tesoro).