Si è fatto un gran parlare di ciò che l’Ocse ha scritto riguardo al Reddito di cittadinanza. Il riferimento è al contenuto di una tabella riportata a pagina 23 dello studio economico dedicato all’Italia pubblicato i primi di settembre. Al suo interno l’Organizzazione per la sicurezza e lo sviluppo economico ha riconosciuto che il “regime del Reddito di cittadinanza, introdotto nel 2019, ha contribuito a ridurre il livello di povertà delle fasce più indigenti della popolazione”. In maniera più estesa l’Ocse è anche entrato nei dettagli quantitativi dell’impatto di questo provvedimento. “Sebbene i livelli di povertà siano aumentati, nel 2020 i trasferimenti pubblici hanno limitato la diminuzione del reddito disponibile delle famiglie al 2,6% in termini reali. Il regime di protezione sociale italiano, potenziato nel 2019 con l’introduzione del Reddito di cittadinanza, ha incrementato l’entità dei trasferimenti alle famiglie a più basso reddito”. Fin qui insomma una generale approvazione della misura di contrasto alla povertà. Non mancano però le riflessioni e le puntuali raccomandazioni.
La prima, paradossalmente, riformare il Reddito di cittadinanza assottigliando l’importo degli assegni. Se il Reddito di cittadinanza ha infatti aiutato le fasce meno abbienti della società a subire un impatto minore della crisi economica, allo stesso tempo la misura non ha sostenuto il reddito dei cosiddetti “working poors”, ovvero i lavoratori che nonostante il loro impiego non riescono ad uscire da una condizione di povertà. “L’incidenza dei lavoratori a basso reddito è rimasta invariata, dal momento che il RdC è rivolto ai più poveri”, registra l’Ocse. “I lavoratori con contratti interinali stagionali, così come i lavoratori autonomi, sono stati supportati attraverso sussidi in denaro, in quanto molti non beneficiavano né dei regimi di lavoro a tempo ridotto né del Reddito di cittadinanza”. Quindi l’Ocse ritiene sarebbe necessario trasferire parte dei fondi allocati nel RdC in nuove misure strutturali per le altre categorie più fragili della società.
Ci sarebbe però anche un motivo meramente macroeconomico più che finanziario in una simile riforma: “Ridurre e assottigliare il Reddito di Cittadinanza per incoraggiare i beneficiari a cercare lavoro nell’economia formale e introdurre un sussidio per i lavoratori a basso reddito”. Anche perché “Il numero di beneficiari che di fatto hanno poi trovato impiego è scarso”, registra l’Organizzazione. Un suggerimento non troppo velato al governo italiano di tagliare gli importi degli assegni del RdC destinati ai disoccupati per comprimere il “salario di riserva” e facilitare l’assunzione da parte del datore di lavoro ad un livello salariale inferiore. I fondi trasferiti dal Reddito ad un nuovo strumento di integrazione per i “working poors” permetterebbero di livellare verso l’alto le retribuzioni “sussidiando” il datore di lavoro, fornendo un contributo pubblico per integrare il reddito del nuovo dipendente. Una proposta che certamente non smetterà di far discutere ma che allo stesso tempo aiuta a comprendere quale sia la reale posizione dell’Ocse sul tema del Reddito di cittadinanza: bene il suo effetto sulla povertà assoluta ma bisogna facilitarne la trasformazione da “reddito universale” a “reddito integrativo”. Il tema della dinamica salariale è strettamente collegato ai consumi privati delle famiglie che, all’interno delle proiezioni macroeconomiche contenute nel documento, sarebbero una delle voci dalla ripresa più lenta con un -10,7% nel 2020, seguito da un +4,7% nel 2021 e un +4,5% nel 2022. Incrementi che permetterebbero ai consumi di recuperare pienamente l’impatto del 2020 soltanto a 2023 inoltrato (a differenza delle altre voci principali come investimenti ed esportazioni, che torneranno ai livelli pre-crisi “già” nel 2022).