Nell’affrontare la gestione dello studio, la comprensione dei propri costi è di vitale importanza.
Infatti, in assenza di dati attendibili, risulterà difficile redigere preventivi, valutare la marginalità dei clienti e definire i criteri di parcellazione. In mancanza di questi dati ricorrere alle tariffe professionali o alle abitudini storiche potrebbe comportare una sottostima degli impegni economici dello Studio. Altresì le proposte economiche potrebbero non essere coerenti con quello che il mercato consente e quindi vulnerabili di fronte alla concorrenza.
Non solo: nell’ottica del miglioramento dei risultati e della razionalizzazione dei processi, non conoscere i fattori che compongono i propri costi impedisce di focalizzare gli ambiti su cui lo studio può realmente incidere.
Infatti, la dolorosa scoperta di coloro che iniziano a valutare il tessuto gestionale dello studio è che, salvo importanti mutamenti dei fondamentali – ad esempio, un forte ridimensionamento del parco clienti -, i costi dello studio non sono significativamente riducibili. Lo studio è infatti composto da persone, le quali rappresentano circa il 75% dei costi se includiamo un costo figurativo dei titolari. A queste si aggiungono i costi di struttura come l’affitto – da rappresentare figurativamente se la struttura fosse di proprietà -, il software e le utenze. Nella gran parte dei casi siamo di fronte a costi piuttosto rigidi, e seppur l’implementazione di azioni correttive mirate possano consentire una razionalizzazione nel tempo, tali azioni non sono affatto semplici e gli effetti non immediati.
Dobbiamo quindi andare oltre ai valori assoluti dei costi per comprendere quali siano gli spazi di manovra per un abile manager/controller di studio. Infatti, questi spazi esistono ed in questo mercato, maggiormente competitivo rispetto al passato, la corretta ingegnerizzazione dei costi sarà un’attenzione cruciale per la generazione di margine. Nella media infatti, i prezzi delle prestazioni si sono ridotti e questo rende necessaria un’attenzione in più per ottenere la corretta remunerazione. Un modo efficace per ottenere questi margini è lavorare sui volumi di lavoro prodotti dalla struttura, nella consapevolezza che ogni attività incrementale gestita, a parità di costi, riduce il costo di tutte le altre. Per esempio: se fosse possibile aumentare i carichi di lavoro del 20%, l’incidenza dei costi su ogni “commessa” si ridurrebbe proporzionalmente, rendendo lo studio più competitivo oltre che aumentando il fatturato.
Questo significa lavorare sull’efficienza e le potenzialità di recupero si manifestano su due fronti principali: i carichi di lavoro e le ore improduttive.
Il primo si manifesta nella legge di Parkinson, economista inglese che teorizzò un concetto molto condivisibile: il lavoro si espande in funzione del tempo disponibile. Esiste infatti una naturale dilatazione dei tempi sul tempo a disposizione e sono sicuro che ognuno abbia numerosi esempi nella propria vita lavorativa. Il reciproco è che esiste una naturale razionalizzazione dei tempi nell’incremento del carico di lavoro gestito. Se la struttura fosse satura causa legge di Parkinson, e non per l’effettiva mole di lavoro, il titolare può intervenire sulla produttività portando nuove opportunità e gestendo con maggiore attenzione gli impegni delle persone.
La comprensione dei tempi di lavoro attraverso un accurato sistema di pianificazione e controllo – timesheet – permetterà allo studio di intercettare le fonti di dispersione di tempi e razionalizzare il lavoro, liberando spazio per nuove opportunità. In questo modo, la struttura potrà beneficiare a pieno delle proprie potenzialità, attivandosi in contemporanea per migliorare le modalità di lavoro e valorizzare le attività.
Il secondo importante ambito in cui il controller dello studio può intervenire è il peso delle attività non produttive, altrimenti dette di studio o generali. Queste sono tutte le attività non legate a un cliente specifico quali la parcellazione, la formazione, i tempi organizzativi, l’attività commerciale o il marketing. Insomma sono quelle attività, a complemento del lavoro per il cliente, che permettono allo studio di operare. Tuttavia, poiché non costituiscono una fonte diretta di reddito, per lo studio rappresentano un “costo” a livello gestionale. Essendo in tanti casi attività molto importanti, queste sono sono un costo necessario, ma non necessariamente incomprimibile: laddove i processi di espletamento delle attività improduttive non siano ottimizzati, difatti, c’è spazio per ridurne i costi.
Per esempio: un processo di parcellazione potrebbe richiedere ad uno studio 1000 ore quando un’altra struttura simile riesce ad eseguire la funzione con altrettanta efficacia nella metà del tempo. C’è quindi spazio per snellire il processo di parcellazione, con l’obiettivo (realistico!) di recuperare 500 ore che lo studio potrebbe reimpiegare altrimenti. Ecco quindi che nella razionalizzazione dei processi improduttivi, lo studio può “comprimere i costi” realizzando risorse reimpiegabili in lavoro per i clienti. A tal fine bisogna avere le idee chiare non solo su quanto sta accadendo all’interno dello studio, ma anche al di fuori: si rivelano dunque cruciali sia la rilevazione dei tempi, sia la conoscenza di approcci diversi – le cosiddette best practices – più efficaci e sostenibili.
È dunque chiaro che un abile controller può modificare in modo significativo i risultati dello studio, sia in termini di competitività, che in termini di qualità del lavoro, generando marginalità attraverso l’efficienza. Una struttura consapevole del proprio operato può intervenire su queste sfaccettature dei costi per garantirsi un futuro, ed un accurato controllo di gestione è il primo passo sulla via della sostenibilità.