L’analisi prende spunto dalla sentenza n. 526/2021 pronunciata dalla Sezione V della Corte di Cassazione, riguardante lo svolgimento di attività commerciale da parte di un ente religioso e la perdita della qualifica di ente non commerciale come conseguenza della sua prevalenza sui ricavi istituzionali nonostante le previsioni dell’art. 149, comma 4, TUIR e può essere considerata un rilevante punto di svolta per gli enti sportivi nello svolgimento delle attività e consequenziale perdita della qualifica di ente non commerciale ai fini fiscali.
Ricordiamo in premessa che l’art. 149 DPR 917/1986 prevede che “indipendentemente dalle previsioni statutarie, l’ente perde la qualifica di ente non commerciale qualora eserciti prevalentemente attività commerciale per un intero periodo d’imposta.” Il comma successivo elenca degli ulteriori parametri ai fini della qualificazione commerciale dell’ente, ma l’ultimo comma sancisce che “Le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 non si applicano agli enti ecclesiastici riconosciuti come persone giuridiche agli effetti civili ed alle associazioni sportive dilettantistiche.”
In base a tale dettato normativo nel corso degli anni la gran parte dei sodalizi sportivi ha svolto attività commerciale prevalente rispetto a quella istituzionale, notoriamente grazie agli incassi delle sponsorizzazioni. Tramite i ricavi di questa natura ASD e SSD finanziano l’attività sportiva di base ed agonistica potendo offrire corsi e lezioni con un contributo da parte dei soci e tesserati ridotto proprio grazie all’apporto economico dei proventi commerciali.
Secondo l’orientamento della Cassazione invece “il comma 4 dell’art. 149 TUIR detta solo la regola che non è sufficiente svolgere attività prevalente per un solo esercizio per perdere la qualifica di ente non commerciale, ma occorre che nel corso dei vari anni di attività l’ente abbia in realtà svolto in prevalenza attività commerciale. Il comma 4 quindi attiene solo al singolo esercizio di attività ed impedisce che l’ente perda la qualifica di ente non commerciale se lo sforamento dei parametri avvenga per un singolo esercizio, ma se tale sforamento avviene in più esercizi allora la natura di ente non commerciale può venire meno.”
Conseguentemente la Corte asserisce che il legislatore non ha inteso attribuire ope legis a tali enti la qualifica di enti non commerciali, dovendosi applicare i criteri previsti dall’art. 73 TUIR, sicché gli enti ecclesiastici ed i sodalizi sportivi sono enti non commerciali solamente fintanto che il loro oggetto principale continui ad essere costituito da attività non commerciale.
Ad avvalorare questa tesi viene richiamata anche la pronuncia della Commissione Europea in tema di aiuti di Stato in presenza dell’art. 149 comma 4 TUIR emanata con Decisione del 19/12/2012 tramite la quale la Commissione, al paragrafo 152, aveva precisato che già “la Circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 124/E del 12 maggio 1998 ha chiarito che i sodalizi possono beneficiare del trattamento fiscale riservati agli enti non commerciali soltanto se non hanno per oggetto principale l’esercizio di attività commerciali. Non risulta pertanto sussistere quel sistema di qualifica permanente di ente non commerciale.”
Quanto sopra riportato ci permette di giungere alla conclusione che, a parere della Corte di Cassazione, non esiste una presunzione assoluta di non commercialità di un sodalizio sportivo o di un ente religioso, e quindi che la deroga stabilita dal quarto comma dell’art. 149 può essere applicata unicamente sul singolo anno in cui si presenta il superamento dell’attività commerciale su quella istituzionale, ma tale prevalenza non può avvenire sistematicamente anno dopo anno in quanto, in tale situazione, il sodalizio non potrebbe più trovare tutela nella norma richiamata e perderebbe la qualifica di ente non commerciale.