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Accertamento del taxista e studi di settore: i soli studi di settore non bastano

Data di pubblicazione: 12 Settembre 2022

La Corte di Cassazione, quinta sezione civile, con ordinanza 26018/22 ha accolto il ricorso presentato da un taxista avverso l’avviso di accertamento dell’Agenzia delle Entrate.

Per l’anno 2003 l’Agenzia delle Entrate rideterminava i ricavi derivanti dall’attività di taxista da euro 18.869= dichiarati ad euro 58.842,00, in presenza di regolarità delle scritture contabili e di coerenza alle risultanze degli studi di settore. L’Agenzia delle Entrate, reputando i ricavi poco credibili, procedeva con accertamento analitico-induttivo ai sensi dell’art. 39 comma 1 lettera d  del DPR 600  (l’esistenza di attività non dichiarate è presumibile anche sulla base di presunzioni semplici, purché siano gravi, precise e concordanti) e dell’articolo 62 sexies del D.L. 30 agosto 1993 n. 331  (gli accertamenti di cui all’art. 39 lettera d del DPR 600 e 54 del DPR  633/72  ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attivita’ svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’articolo 62-bis del presente decreto).

Giova ricordare che gli studi di settore sono stati elaborati mediante appositi osservatori (che hanno anche proceduto ad aggiornamento e revisioni), ma come si potrà constatare da quanto indicato nella parte finale di questi appunti, non basta la congruità e la coerenza con gli studi di settore a scongiurare l’accertamento di maggiori ricavi, poiché alcuni “indici spia” vengono reputati quali presunzioni gravi, precise  e concordanti.

L’Ufficio ha proceduto considerando i chilometri percorsi durante l’anno risultanti dalla scheda carburante, la percorrenza di una corsa media determinata in base a presunti studi statistici, il costo di una corsa media risultante dal tariffario comunale, riducendo la percentuale di chilometri percorsi per uso privato dall’autovettura generando così in aumento i chilometri percorsi nell’esercizio dell’attività.

Il contribuente invece dimostrava che non esisteva alcun studio statistico del Comune sulle percorrenze medie di ogni corsa e sul costo medio, cosicché non esisteva neppure una tariffa media, ergo le presunzioni dell’Ufficio erano quindi prive del requisito di gravità, precisione e concordanza e, tanto più, la dichiarazione fiscale era “congrua e coerente” con gli studi di settore; la Commissione Tributaria, nel giudizio di appello, accoglieva quindi le tesi del contribuente.

La Suprema Corte di Cassazione  si esprime, relativamente al giudizio di appello, con l’espressione “dalla lettura della sentenza emerge la sufficienza, logicità e coerenza del ragionamento del giudice d’appello” dichiarando il ricorso pertanto inammissibile.

Contrariamente all’ordinanza in questione si evidenziano metodologie di accertamento analitico-induttivo considerate del tutto legittime:

  • il tovagliometro, ossia l’accertamento nei confronti di esercizi di somministrazione basato sul consumo unitario dei tovaglioli utilizzati (risultante per quelli di carta dalle fatture o ricevute di acquisto e per quelli di stoffa dalle ricevute della lavanderia), è legittimo, in quanto costituisce un dato assolutamente normale quello secondo cui per ciascun pasto ogni cliente adoperi un solo tovagliolo e rappresentando, quindi, il numero di questi un fatto noto idoneo, anche di per sé solo, a lasciare presumere il numero dei pasti effettivamente consumati, pur dovendosi ragionevolmente sottrarre dal totale una certa percentuale di tovaglioli normalmente utilizzati per altri scopi, quali i pasti dei dipendenti, l’uso da parte dei camerieri e le evenienze più varie per le quali ciascun cliente può essere indotto ad utilizzare più tovaglioli“, reputato legittimo dalla stessa Corte di Cassazione con ordinanza 11593 del 4 maggio 2021
  • il mineralometro o bottigliometro, basato sul consumo di acqua minerale nei ristoranti e nelle pizzerie (Cassazione 17408/2010)
  • il lenzuolometro, basato sull’impiego di lenzuola, coperte ed asciugamani nello svolgimento di attività di affittacamere (Cassazione 30402/2011)
  • lo shampometro, ossia l’accertamento redatto nei confronti di attività di parrucchiere basato sul consumo di materie prime, ma nel caso il contribuente non sembra aver contestato puntualmente gli assunti dell’Agenzia delle Entrate (C.T.R. Lazio sentenza 2684 del 23 settembre 2020)

Autore: Dott.ssa Annalisa Forte

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