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A maggio l’inflazione è salita ancora, ma la questione non è così semplice

Data di pubblicazione: 01 Giugno 2021

Il tasso di inflazione è salito anche a maggio, aumentando per il quinto mese consecutivo. La situazione però non è così semplice e fermarsi alla singola rilevazione potrebbe complicare la comprensione del quadro generale. Stando ai dati Istat nel mese di maggio 2021 il tasso di inflazione italiano è salito all’1,3% rispetto al 2020. Ad aprile la variazione positiva si fermava all’1,1%. Per ritrovare valori così alti è necessario tornare alla fine del 2018. All’apparenza parrebbe un ritorno dell’inflazione che potrebbe condizionare nel breve periodo sia i mercati finanziari che il sistema produttivo. Considerando la sola inflazione “di fondo”, però, i valori cambiano radicalmente: l’aumento dei prezzi al netto dei beni energetici e degli alimentari freschi è rimasto stabile a +0,3%. Numeri decisamente inferiori che impongono di analizzare le singole componenti dell’inflazione. I beni energetici hanno giocato un ruolo chiave nel rialzo dei primi mesi del 2021, inasprendo la salita dei prezzi anche nel mese di maggio. I beni energetici che in aprile vedevano un +9,8% rispetto al 2020, in maggio registrano un +13,8% anno su anno. Una salita così poderosa da costituire all’interno dell’indice dei prezzi al consumo un incremento dell’1,1%, al quale si somma la crescita del listino degli alimentari non lavorati (+0,9%), bilanciati da una diminuzione dei prezzi dei servizi ricreativi, culturali e per la cura della persona (-0,8%). All’interno dell’aumento complessivo dell’1,3% ci sono quindi variabili dall’andamento eterogeneo. Le differenze non si fermano qui. Mentre i prezzi dei prodotti ad alta frequenza di acquisto registrano un incremento dell’1,5% rispetto a maggio 2020, il cosiddetto “carrello della spesa” (beni alimentari, cura della casa e della persona) registra una riduzione nel prezzo dello 0,8%, più del -0,7% di aprile. Il mosaico è quindi di più complicata composizione e composto da tasselli di forme diverse, oltre che in parte “falsato” dal confronto con i dati della primavera 2020 (pieno primo lockdown).

Nel caso dell’Italia, cui caduta del Pil nel 2020 è stata tra le più profonde nel complesso delle principali economie europee e non sarà recuperata prima del 2023, sono due le forze che spingono in direzioni opposte l’indice dei prezzi al consumo. Da una parte la prepotente crescita delle materie prime registrata a livello mondiale sta mettendo sotto pressione il sistema produttivo, imponendo tagli ai margini di guadagno e materiale difficoltà nel reperire le risorse. Nella sua più recente rilevazione, il Fondo monetario internazionale stima che in aprile il prezzo del Greggio sia salito in  media del 183,6% rispetto al 2020, il gas naturale del 110,6% e i metalli di base per la produzione industriale in media del 199%. Se da una parte questa componente esogena sta trainando il tasso di inflazione in tutto il continente, l’Italia ha una componente endogena che invece rema contro la salita dei prezzi: la mancanza dei consumi.

Nella sua relazione annuale Banca d’Italia delinea uno scenario di breve-medio termine in cui i consumatori saranno più restii nello spendere le proprie risorse in consumi, anche e nonostante l’aumento del risparmio verificatosi nel 2020. “Nel 2020 la caduta dei consumi aggregati è stata assai superiore a quella prevedibile in base all’andamento delle determinanti tradizionali […] ciò è riconducibile alle misure di contenimento della diffusione del virus e alla paura del contagio, oltre che a una maggiore incertezza sul futuro”, si legge. I settori più colpiti? Quelli soggetti a restrizioni e in cui la percezione del rischio di contagio è maggiore: ristoranti, hotel, bar, attività sportive, ricreative e culturali. “Nelle attese delle famiglie un terzo del risparmio accumulato sarà consumato nel 2021; poco più della metà verrà detenuto in depositi o sotto forma di altro investimento”, portando così i consumi italiani al di sotto del proprio potenziale. Banca d’Italia si spinge oltre, prendendo in considerazione la possibilità che il cambiamento nelle abitudini dei consumatori italiani sia strutturale: “Anche quando l’attuale emergenza sarà superata le famiglie potrebbero quindi conservare un’attitudine più prudente, mantenendo il risparmio accumulato su livelli superiori a quelli pre-pandemici”. In altre parole uno scenario con inflazione da surriscaldamento dell’economia italiana pare piuttosto remoto. A tranquillizzare investitori e operatori ci ha pensato anche l’influente membro del comitato esecutivo della Bce Isabel Schnabel: “È probabile che quando il PEPP finirà, non avremo raggiunto il nostro (obiettivo)”. Ovvero anche quando Francoforte interromperà il programma di acquisto di emergenza dei titoli di Stato dei Paesi membri (al momento nella primavera 2022) il tasso di inflazione nell’eurozona non avrà raggiunto la soglia del 2%, obiettivo contenuto nel mandato della Bce.

Autore: Dott. Gianmaria Vianova

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