L’errata o imprecisa indicazione della categoria reddituale nell’avviso di accertamento non costituisce circostanza di per sé sufficiente a determinare la nullità dell’avviso.
La diversa qualificazione della fonte di produzione della ricchezza, infatti, non incide sugli elementi costitutivi della pretesa fiscale e, più in particolare, sugli elementi fattuali rilevanti ai fini dell’individuazione del presupposto impositivo.
Tale erronea classificazione, a parere della Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Puglia (Sentenza n. 648/2024), non può quindi giustificare l’annullamento dell’avviso di accertamento ma può avere conseguenze solo dal punto di vista della individuazione della pretesa fiscale. Su questo principio la CGT ha ritenuto fondato l’appello dell’Agenzia delle Entrate.
Il caso portato all’atteniozne dei giudici baresi ha riguardato un contribuente, che esercitava l’attività di deejay, che era stato erroneamente classificato come imprenditore e non come lavoratore autonomo.