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È finita l’epoca del denaro gratis? La Bce si muove e trascina i tassi verso l’alto

Data di pubblicazione: 15 Giugno 2022

Nella giornata di martedì 14 giugno 2022 il rendimento dei Btp decennali ha superato il 4% per la prima volta dal gennaio 2013. Sebbene mercoledì 15 il rendimento sia tornato leggermente a scendere, si è di fronte ad un salto indietro di quasi dieci anni che sancisce la definitiva uscita da un lungo periodo di tassi ai minimi storici. Per la precisione, il 14 giugno scorso, il tasso di interesse pagato annualmente dai Btp decennali ha raggiunto il 4,17%, una variazione positiva di quasi 120 punti base in un solo mese e circa 300 punti base dall’inizio del 2022.

L’aumento del costo del debito per il governo italiano è un fenomeno che si registra lungo tutta la curva dei tassi di interesse, uscita integralmente dal territorio negativo (perlomeno dalla scadenza di sei mesi in poi). Solo un anno fa il Tesoro si finanziava a tassi negativi su scadenze pari o inferiori ai cinque anni. Va sottolineato che la corsa dei tassi di interesse sui titoli di Stato italiani era già avviata dall’inizio dell’anno, ma la salita si è inasprita a partire dallo scorso 9 giugno. Una data non casuale: il giorno in cui la Banca Centrale Europea ha annunciato il primo rialzo del costo del denaro da oltre dieci anni. Il tasso di interesse di riferimento passa infatti dallo 0% allo 0,25% a luglio, per poi salire di un altro quarto di punto a 0,50% il prossimo settembre.

L’aumento dei tassi era già stato rilevato dai valori fondamentali di Euribor ed Eurirs, che ora stanno spiccando il volo allontanandosi dai minimi storici: il primo si sta avvicinando rapidamente alla parità, attestandosi a -0,243% (sui tre mesi) nella giornata di martedì 14 giugno, il secondo ha già toccato il 2,45% per scadenze sui vent’anni. Questa rapida salita dei tassi nel caso del mercato italiano colpirà principalmente in maniera prospettica, visto che l’ampia maggioranza dei mutui stipulati (soprattutto dalle famiglie nel settore immobiliare) prevede un tasso fisso, quindi “immune” alle variazioni ex-post. L’aumento dei tassi potrebbe a questo punto inibire la capacità di indebitamento futuro di famiglie e imprese, ponendosi come ulteriore elemento di freno alla crescita economica.

La Bce come anticipato ha deciso di uscire dalla politica monetaria estremamente accomodante che ha caratterizzato gli anni duemiladieci e soprattutto il biennio di recupero dalla pesante recessione pandemica. L’uscita si è sostanziata non solo nell’aumento del tasso di interesse di riferimento ma anche dallo storico stop ai programmi di acquisto delle obbligazioni dell’Area Euro che dal 2015 stavano accompagnando il continente. Addio quindi da luglio agli acquisti del Pepp (il programma pandemico) e soprattutto all’App (il Quantitative Easing vero e proprio). Francoforte cesserà di ordinare acquisti netti e si limiterà a reinvestire quanto le verrà dalla scadenza dei titoli attualmente in pancia. Non è prevista per il momento una contrazione del bilancio della Bce – il “tapering – che in questa fase rischierebbe di inasprire il rialzo dei tassi. Un rialzo che da una parte mette a dura prova i debitori (che si trovano a dover sostenere costi di finanziamento più elevati) e dall’altra “finalmente” beneficia i creditori che nell’ultimo anno si trovavano a dover fronteggiare tassi reali fortemente negativi (tassi nominali ai minimi storici e tasso di inflazione più alto dell’ultimo mezzo secolo).

Francoforte si dice comunque pronta ad osservare i movimenti sul mercato obbligazionario per “evitare la frammentazione”. Lo ha ribadito anche l’influente membro del consiglio direttivo Bce Isabel Schnabel: “Questo impegno può essere messo in pratica in un periodo di tempo molto breve se si conclude che la trasmissione delle politiche è a rischio. In tal caso, i reinvestimenti da titoli in scadenza nell’ambito del Pepp possono essere adeguati in modo flessibile nel tempo, nelle classi di attività e nelle giurisdizioni”.

Autore: Dott. Gianmaria Vianova

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