Ad ogni aumento della disoccupazione di un punto corrisponde la riduzione della natalità di un quarto di punto e dell’immigrazione netta di oltre due punti. A causa della crisi economica legata al Covid la popolazione italiana in età lavorativa nel 2065 sarà inferiore di 1,6-3,4 milioni rispetto allo scenario base (senza pandemia), con minore crescita del Pil del 17-27%. Sono queste le previsioni shock pubblicate da Banca d’Italia nell’occasional paper “Alcune valutazioni sul probabile impatto demografico della crisi Covid-19”. Nello studio, gli autori Giacomo Caracciolo, Salvatore Lo Bello e Dario Pellegrino avanzano una stima dell’impatto della crisi economica da Covid-19 sulla demografia italiana e, di conseguenza, sulla crescita del Pil nel lungo periodo.
Gli autori hanno utilizzato una regressione lineare, mettendo in relazione il tasso di disoccupazione e di natalità italiani nel periodo compreso tra il 1980 e il 2019. Dall’operazione emerge che “in media, un aumento di 1 per cento nel tasso di disoccupazione contemporaneo è associato ad una riduzione di circa 0,22-0,24 per cento nel tasso di natalità” e che “La relazione stimata, coerentemente con i risultati noti della letteratura, è negativa e statisticamente significativa”. Una relazione che permette di apprezzare quanto l’andamento del mercato del lavoro e dell’economia in generale incidano sulla vita quotidiana dei cittadini, alterando le loro decisioni personali e di programmazione. Gli autori sottolineano come in tutti i modelli considerati il tasso di disoccupazione abbia “una forte capacità predittiva” dato che in media “tra il 47 e il 67 per cento delle fluttuazioni del tasso di natalità possono essere ricondotte a variazioni del tasso di disoccupazione”. Marginale l’impatto della pandemia in sé: “Le stime sull’eccesso di mortalità per la popolazione 0-64 sono prossime allo zero, a causa di una probabile diminuzione della mortalità legata ad altre cause”.
Gli autori si sono quindi concentrati sul fattore migrazioni, mettendo a confronto l’andamento del tasso di disoccupazione e – per semplicità – il tasso migratorio netto nell’intervallo di tempo 1980-2019. “In media, un aumento di 1 per cento nel tasso di disoccupazione contemporaneo è associato ad una riduzione di circa 2-2,5 per cento nel tasso migratorio netto”, constatano. Anche in questo caso l’R quadratico è elevato (tra il 72% e il 73%), il che ha portato gli autori ad inserire anche questa variabile nel modello predittivo.
Nelle conclusioni l’analisi giunge a stimare che da qui al 2065 la crisi economica ridurrà la popolazione in età lavorativa di un numero compreso tra l’1,6 e i 3,4 milioni di unità. Citando lo studio: “Nel 2065 il calo […] sarebbe di circa 1,6-3,4 milioni superiore rispetto alle proiezioni Istat precedenti alla pandemia, che già segnalavano un arretramento atteso di questa popolazione di circa 9 milioni. Il calo delle dinamiche migratorie sarebbe responsabile di circa la metà degli effetti aggregati stimati. Inoltre, l’effetto della crisi pandemica sulle migrazioni si manifesterebbe nell’immediato, mentre il calo della natalità inizierebbe a produrre effetti tangibili solo a partire dal 2035”.
Una simile contrazione della popolazione in età lavorativa non potrà che avere un importante impatto sulla capacità produttiva italiana e, di conseguenza, sulla crescita economica potenziale: “Da un lato l’evoluzione demografica produrrà una forte spinta al ribasso sui livelli di prodotto: a parità di produttività del lavoro e nello scenario base di partecipazione, si stima che il calo della popolazione produrrebbe una contrazione del PIL nel 2065 stimata tra i 17 e i 27 punti percentuali, rispetto ai livelli del 2019”. Di questa grande riduzione della crescita l’impatto netto della demografia post-crisi Covid si attesterebbe in una forbice compresa tra i 4 e i 16 punti percentuali con una riduzione attesa del Pil pro capite compresa tra l’1 e il 2%.