Con l’ordinanza n. 26669 del 24.11.2020 la Corte di Cassazione torna sulla efficacia probatoria delle dichiarazioni di terzi acquisite nel processo tributario.
Stante il divieto della prova testimoniale previsto dall’art. 7 del D.Lgs. 546/199, la giurisprudenza della Cassazione, quanto al valore probatorio delle dichiarazioni rese da terzi all’Agenzia delle Entrate o al personale della Guardia di finanzia, ha univocamente riconosciuto alle stesse la natura indiziaria.
Nel processo tributario, le dichiarazioni rese da un terzo, inserite, anche per riassunto, nel processo verbale di constatazione e recepite nell'avviso di accertamento, hanno valore indiziario e possono assurgere a fonte di prova presuntiva, concorrendo a formare il convincimento del giudice anche se non rese in contraddittorio con il contribuente, senza necessità di ulteriori indagini da parte dell'Ufficio (Cass., sez. 6-5, 20 maggio 2020, n. 9316; Cass., n. 6946 del 2015; Cass., 30 settembre 2011, n. 20032).
Peraltro, si è affermato che, in tema di processo tributario, al contribuente, oltre che all'Amministrazione finanziaria, è riconosciuta – in attuazione del principio del giusto processo di cui all'art. 6 CEDU, a garanzia della parità delle armi e dell'attuazione del diritto di difesa – la possibilità di introdurre, nel giudizio dinanzi alle commissioni tributarie, dichiarazioni rese da terzi in sede extraprocessuale aventi, anche per il contribuente, il valore probatorio proprio degli elementi indiziari (Cass., sez. 5, 27 maggio 2020, n. 9903; Cass., sez. 6- 5, 28 aprile 2015, n. 8606).
Nel caso di specie è, pertanto, stata ritenuta corretta la sentenza della Commissione regionale che ha riconosciuto valore presuntivo alle precise dichiarazioni rese dal terzo e, data la particolare qualifica del terzo, tale indizio è stato ritenuto altresì particolarmente grave e preciso, tale da poter costituire anche da solo elemento di convincimento del giudice.
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