Raddoppiato il numero di PMI “a rischio” e fatturati giù del 16,3% in caso di nuovi lockdown.
Sono solo un paio di dati contenuti nel Rapporto Cerved PMI 2020, che dedica ampio spazio all’impatto del Covid sui bilanci delle Piccole e medie imprese italiane. Stando alle stime Cerved, infatti, la quota di PMI “a rischio” default potrebbe quasi raddoppiare passando dall’8,4% del 2019 al 16,3% del 2020 a causa del coronavirus, superando il precedente valore massimo registrato nel 2014. Lo scenario di riferimento per quanto riguarda le previsioni sull’andamento del fatturato delle PMI riporta un -11% sul 2019, tuttavia Cerved ha simulato l’eventualità di nuovi lockdown nell’ultima parte dell’anno, definendola “scenario pessimistico” (il rapporto si basa sui dati fino al 12 ottobre, la situazione si è rapidamente evoluta nelle settimane seguenti, ndr). Secondo questo scenario i ricavi delle PMI potrebbero contrarsi anche del 16,3%, con una perdita di valore aggiunto del 26,7% e un rapporto tra oneri finanziari e Margine operativo lordo schizzato al 16,9% (rispetto al 15,5% dello scenario senza nuovi lockdown). Pesante proprio la dinamica del denominatore di questo rapporto: nel 2019 Cerved sottolinea che era proseguita la crescita dei margini lordi delle PMI (+1,4% reale) mentre nel 2020 si registrerà una contrazione del 19%. Per le imprese più piccole il calo sarà anche superiore al 20%.
Tra le categorie che accuserebbero i cali più ingenti tra il 2019 e il 2020 vi sono le agenzie di viaggio e tour operator (-51,3%), i trasporti aerei (-50,8%), gli alberghi (-47,1%), la gestione trasporti (-46,7%), il trasporto pubblico locale (-44,2%), l’organizzazione di fiere e convegni (-40,0%), la gestione parcheggi (-38,8%), le strutture ricettive extra alberghiere (-37,9%), la ristorazione (-33,8%) e l’industria cinematografica (-32,9%). Alcune categorie invece beneficeranno di un incremento del giro d’affari, principalmente legato alle esternalità della pandemia e al cambiamento delle abitudini di consumo della popolazione: in testa di gran lunga il commercio elettronico (+23,8% sul 2019), il settore dei tessuti e tessili tecnici e industriali (+11,3%), le materie prime farmaceutiche (+7,9%), le specialità farmaceutiche (+7,3%), la distribuzione alimentare moderna (+6,6%), i gas industriali e medicali (+5,2%), la pasta (+4,8%), gli apparecchi e dispositivi medicali (+4,5%), l’ingrosso pharma e medicali (+3,4%) e i prodotti per la detergenza (+3,0%).
Il ridimensionamento del giro d’affari e l’uscita dal mercato di un numero rilevante di imprese si ripercuoterà, secondo Cerved, anche sul livello di investimenti: le imprese analizzate potrebbero bruciare 47 miliardi di euro di capitale, che in uno scenario più pessimista potrebbe arrivare a 68 miliardi (-7,7%). Questi numeri si concretizzerebbero in assenza di attese di un rapido ritorno alla crescita economica su larga scala. La pandemia avrebbe inoltre interrotto il processo di progressivo ritorno ai valori pre-2008 del rapporto fra il flusso di investimenti materiali e lo stock di immobilizzazioni: 7,5% nel 2019, nel 2020 scenderà al 6,8%. Pesanti anche le conseguenze sull’occupazione. A regime, sempre secondo le stime, le imprese analizzate taglierebbero il numero di lavoratori di ben 769mila unità (cifra pari a circa il 7,5% del totale degli occupati in quelle imprese a fine 2019), in parte a causa dell’uscita dal mercato delle società meno competitive (135mila lavoratori) e in parte per il ridotto giro d’affari (633mila lavoratori). Proiettando queste stime sul totale delle imprese private la perdita potrebbe toccare 1,4 milioni di lavoratori.
La pandemia e le misure di contenimento hanno anche scoraggiato la nascita di nuove PMI, in parte per via del peggioramento della congiuntura e in parte per il possibile rinvio delle iniziative imprenditoriali. Nei primi sei mesi del 2020 si registra una contrazione nel numero di nuove iscrizioni del 26%, con un -24,7% delle vere nuove nate: numeri che non hanno precedenti, sottolinea Cerved.