Per l’Istat vi sono “estesi segnali di ripresa” da maggio in poi ma, nel frattempo, il commercio al dettaglio a luglio resta il 7,2% sotto i livelli dell’anno scorso. Rimbalzo cercasi per l’economia italiana, giunta ormai nella parte finale di quel terzo trimestre nel quale il governo spera di poter registrare un segno positivo quantomeno a livello congiunturale. Dopo il crollo senza precedenti del Pil nel secondo trimestre 2020 (-12,8% rispetto al primo) stando alle informazioni in possesso dell’Istat “I mesi di luglio e agosto, seppure ancora parziali, suggeriscono il proseguimento della fase di ripresa. A luglio, si osservano aumenti nei dati dei consumi elettrici e della fatturazione elettronica e le stime preliminari sui flussi commerciali con i paesi extra-Ue indicano la prosecuzione della fase di risalita delle vendite all’estero, con un dimezzamento del calo tendenziale delle esportazioni osservato a giugno”. In salita anche l’indice del clima di fiducia delle imprese a luglio, indicatore tuttavia da prendere con le pinze in una congiuntura economica che non ha eguali dai tempi della Seconda guerra mondiale anche per via della sua natura qualitativa (e non quantitativa) e strettamente legato alle aspettative degli intervistati.
A rompere la serie di dati “positivi”, legati ad un possibile rimbalzo dell’economia italiana, ci hanno pensato i consumi e il commercio al dettaglio. Sempre secondo Istat a luglio (primo mese del terzo trimestre) le vendite al dettaglio avrebbero subito una ulteriore diminuzione del 2,2% rispetto a giugno. Le vendite al dettaglio di luglio 2020 si sono attestate così il 7,2% sotto il valore registrato nel luglio 2019, calo che si concentra nei beni non alimentari (-11,6%) piuttosto che in quelli alimentari (-1,1%). Quasi tutte le categorie di prodotti cedono il passo alla crisi dei consumi, eccezion fatta per l’utensileria per la casa e ferramenta (+3,2%). Maglia nera (di gran lunga) l’abbigliamento con un -27,9% rispetto al luglio 2019, seguito dalle calzature e articoli da viaggio (-17,3%), elettrodomestici (-14,9%), cartoleria libri e giornali (-13,4%), a sorpresa anche prodotti farmaceutici (-10,2%) e generi casalinghi (-8,4%). Resistono invece i prodotti informatici e di telefonia (-0,3%) e l’arredamento (-0,9%). Una crisi dei consumi decisamente asimmetrica nelle proporzioni, con settori più in difficoltà di altri. La forma distributiva che ha subito maggiormente il colpo è quella delle imprese operanti su piccole superfici e non alimentari, con un -15,1% rispetto al luglio 2019. Male anche gli esercizi specializzati, con un -11% rispetto a luglio 2019 e un pesante -24,4% guardando ai primi sette mesi del 2020 rispetto ai primi sette del 2019. A beneficiare delle misure di distanziamento sociale sembrano essere, anche a luglio, gli operatori del commercio elettronico, che fanno registrare un +11,1% rispetto al 2019 e un +28,5% guardando ai primi sette mesi dell’anno.
La crisi dei consumi si riflette anche sui prezzi, con il tasso di inflazione annuo sceso a -0,5% ad agosto, continuo calo da giugno che sancisce una drammatica spirale deflattiva. L’intervento della Banca centrale europea per evitarla è già ai massimi storici, elemento che sottolinea le cause reali ed economiche del fenomeno (non finanziarie), guaribile soltanto con iniziative di politica fiscale (non a caso l’Unione europea ha sbloccato il Patto di stabilità e ha aperto ad una maggiore condivisione delle politiche di bilancio). Resterà da comprendere l’impatto del deficit pubblico su questa variabile e soprattutto se il moltiplicatore del reddito si attesterà su livelli sufficientemente alti ed efficaci nel far ripartire la domanda interna.
Domanda interna che, va sottolineato, nel secondo trimestre è crollata del 9,5% rispetto al primo trimestre ed è stata la principale componente negativa della discesa del Pil.