Tra marzo e luglio le imprese italiane potrebbero accumulare un fabbisogno di liquidità pari a 73 miliardi di euro. Lo dice Banca d’Italia, nel suo rapporto sulla stabilità finanziaria aggiornato alla fine di aprile 2020. Palazzo Koch ha infatti stimato l’impatto che la (grave) crisi economica causata dal lockdown sta avendo sui bilanci delle imprese italiane, stima che prende in considerazione il periodo marzo-luglio 2020 (in quanto “gli scenari sull’andamento del Pil […] prefigurano un recuperano nella seconda metà [dell’anno]”). Ebbene, secondo tali previsioni le attività economiche accumuleranno un fabbisogno di liquidità pari a circa 73 miliardi di euro, “ipotizzando che le imprese possano ricorrere alle sole attività liquide detenute in bilancio”. Prendendo in considerazione anche la moratoria per le PMI il fabbisogno scenderebbe a circa 59 miliardi di euro, cifra che si riduce a 50 miliardi di euro nel caso in cui “le imprese utilizzassero completamente i margini disponibili sulle aperture di credito”. Tra le società di capitale il deficit di liquidità riguarderebbe circa 130.000 imprese: “In percentuale del fatturato, sarebbe più alto per quelle che prima della crisi erano finanziariamente più fragili e per quelle diverse dalle PMI, che non hanno accesso alla moratoria sul debito”.
Le imprese italiane si trovano a dover fronteggiare la crisi da Covid-19 con una struttura finanziaria decisamente diversa rispetto a quella della precedente crisi economica. La leva finanziaria si è ridotta di circa dieci punti percentuali da allora, l’incidenza dei debiti a breve termine sul totale di quelli finanziari è scesa di sette punti e alla fine dell’anno scorso le attività liquide in bilancio avevano raggiunto il picco del 21% del Pil. Il tasso di deterioramento dei prestiti è sceso all’1,9% alla fine del 2019 mentre era al 2,6% nel 2007. Tuttavia ciò che è avvenuto nel I trimestre 2020 è tuttavia un vero e proprio game-changer: “L’intensità della crisi in corso si rifletterà in un marcato incremento della vulnerabilità finanziaria delle imprese. Secondo il modello di microsimulazione della Banca d’Italia, per ogni calo del 5 per cento del MOL nominale, la quota di debito detenuto dalle imprese vulnerabili salirebbe tra 1,0 e 1,3 punti percentuali alla fine del 2020″.
La buona notizia è che secondo Banca d’Italia le condizioni del mercato del credito rimarranno accomodanti nonostante la crisi Covid: “Il costo dei finanziamenti bancari, in larga parte a tasso variabile, ha raggiunto un valore minimo del 2 per cento in febbraio. Il rischio che il protrarsi delle tensioni finanziarie sui mercati possa portare nel breve periodo a un aumento dell’onere del debito è basso, in ragione sia dell’indicizzazione a tassi di riferimento che permangono negativi […] sia delle misure di politica monetaria adottate dall’Eurosistema”. L’Euribor a tre mesi, va detto, a metà aprile ha registrato qualche tensione sull’interbancario, risalendo in poche settimane a -0,16% (23 aprile) per poi riscendere anche al di sotto del -0,30%.
La cattiva notizia è che, sempre secondo Banca d’Italia, “Nell’anno in corso la diminuzione del credito bancario alle imprese, in atto dall’inizio del 2019, potrebbe acuirsi per il complesso del settore, nonostante l’aumento dell’indebitamento per fare fronte al maggiore fabbisogno di liquidità”. Sebbene infatti il sistema bancario italiano possa contare oggi su una maggiore solidità patrimoniale la crisi potrebbe minare ulteriormente la redditività degli istituti, già affossata dagli sforzi sugli NPL e dalla politica monetaria ultra-accomodante della Bce, compromettendo la spinta anticiclica del mercato del credito (che già vedeva una variazione tendenziale negativa nei prestiti concessi alle società non finanziarie prima dello scoppio dell’emergenza Covid).