In Italia cresce il reddito disponibile e calano le disuguaglianze ma i livelli pre-crisi sono ancora lontani.
È ciò che emerge dalla relazione sul Bes 2020 [1] trasmessa dal ministro dell’Economia e delle Finanze Roberto Gualtieri al Parlamento nella giornata di martedì 18 febbraio. Il progetto Bes è stato creato nel 2010 dall’Istat con l’obiettivo di misurare il Benessere Equo e Sostenibile dell’Italia integrando i tradizionali indicatori economici con misure sulla qualità della vita delle persone e sull’ambiente [2]. Primo degli indicatori di natura economica riportati nel documento è il reddito medio disponibile aggiustato pro capite (Rda), ovvero la somma del reddito disponibile lordo delle famiglie e della valutazione monetaria dei servizi forniti in natura dalle amministrazioni pubbliche, poi divisa per il numero dei residenti in Italia [3].
Nel 2018 questo reddito disponibile aggiustato ammontava a 22.658 euro pro capite, in aumento rispetto ai 22.245 del 2017 [4]. L’Rda tra il 2013 e il 2018 sarebbe cresciuto del 7,1%, circa 1.505 euro pro capite [5]. Su questo indicatore il rapporto del Ministero pone particolare attenzione, in quanto oggetto del taglio del cuneo fiscale che entrerà in vigore il prossimo luglio: “Nel quadriennio 2019-2022 si prevede la prosecuzione della dinamica positiva”, dice il documento [6]. “L’andamento positivo previsto per il triennio 2020-2022 è da ricondurre principalmente alle misure espansive introdotte dalla Legge di Bilancio 2020 e dalla dinamica moderatamente favorevole del mercato del lavoro”, aggiunge. Secondo le proiezioni del Mef il Reddito disponibile aggiustato pro capite dovrebbe toccare i 24.590 euro nel 2022. Se il reddito medio disponibile aggiustato pro capite nominale già nel 2016 aveva recuperato i livelli pre-crisi, quello reale si trova ancora circa 10 punti percentuali sotto il dato registrato nel 2007: stando alle proiezioni il gap non sarà recuperato nemmeno nel 2022 [7].
Secondo l’ultimo rapporto Bes la disuguaglianza del reddito disponibile nel 2018 dovrebbe essersi contratta lievemente. L’Istat prende in considerazione il rapporto interquintilico “S80/S20” [8]. Mette in rapporto cioè la quota totale di reddito posseduta dal 20% più ricco della popolazione con quella posseduta dal 20% a più basso reddito. Nel 2018 il quinto degli italiani con il reddito più alto percepisce un reddito pari a sei volte quello del quinto più povero. Il rapporto scende così dello 0,1 rispetto al 2017 ma resta dello 0,1 superiore a quello registrato nel 2015 [9]. Tale rapporto nel 2007 era fermo a 5,2 testimoniando così una polarizzazione agli estremi nell’andamento del reddito durante gli anni di crisi/stagnazione del Pil.
L’indice di povertà assoluta, che confronta le spese per consumi delle famiglie e le specifiche soglie di povertà, nel 2018 dovrebbe essersi arrestato dopo quattro anni di crescita costante [10]. L’8,4% degli italiani nel 2018 sarebbe così in povertà assoluta, stessa percentuale del 2017 ma superiore al 6,8% registrato nel 2014. L’incidenza di povertà assoluta nel 2018 sarebbe quasi triplicata rispetto al 2007, quando si limitava ad un 3,1% [11]. La famiglia recita un ruolo fondamentale nella riduzione di questa quota: il 7% delle famiglie è in povertà assoluta contro l’8,4% degli individui presi singolarmente. Queste percentuali dipendono fortemente dalla nazionalità del campione: solo il 5,3% delle famiglie italiane è in povertà assoluta, mentre lo è il 18,2% delle famiglie miste e il 27,8% delle famiglie di soli stranieri [12].
Tra le varie analisi che il rapporto del Mef passa in rassegna l’incidenza di povertà assoluta individuale per età è quella che colpisce maggiormente. Se nel 2005 la percentuale di individui in povertà di età compresa tra 0 e 17 anni viaggiava attorno al 4% nel 2018 questa quota risulta triplicata, intorno al 13%. Nella classe 18-34 anni la situazione migliora leggermente, pur registrando un divario abissale: di poco inferiore al 4% nel 2005, intorno al 10% nel 2018. Anche nel culmine della carriera lavorativa, nell’età compresa tra i 34 e i 64 anni, l’ultimo decennio ha lasciato il segno: attorno al 3% di poveri assoluti nel 2005, poco più dell’8% nel 2018. Il divario quasi si azzera dopo i 65 anni, quando entrano in gioco le entrate pensionistiche [13].
FONTI
[1] Relazione sugli indicatori di benessere equo e sostenibile 2020, Ministero dell’Economia e delle Finanze, 18 febbraio 2020,
[2] La misurazione del benessere (Bes), Istat,
[3] Relazione sugli indicatori di benessere equo e sostenibile 2020, Ministero dell’Economia e delle Finanze, 18 febbraio 2020, pp. 53
[4] ivi, pp. 54, figura III.1
[5] ivi, pp. 54
[6] ivi, pp. 56
[7] ivi, pp. 56, figura III.2
[8] ivi, pp. 57
[9] ivi, pp. 58, figura III.5
[10] ivi, pp. 63
[11] ivi, pp. 63, figura III.9
[12] ivi, pp. 64, figura III.11
[13] ivi, pp. 65, figura III.15